Buongiorno a tutti,
Riprendiamo la breve storia dell’olio ibleo iniziata la settimana scorsa, occupandoci del periodo che va dalla fine del Medioevo, quando compaiono le prime documentazioni della cultura dell’olivo nelle nostre zone, fino alla fine dell’Ottocento. Buona lettura!
È certo che per molti secoli principale fattore di sussistenza per Chiaramonte Gulfi fu la pastorizia, esercitata nella boscaglia di querce, sugheri e olivi selvatici che copriva la gran parte dell’altopiano ai piedi del paese.
La prima notizia documentale relativa alla produzione di olio nel territorio di Chiaramonte risale a un atto del 1383, redatto da un certo notaio Linfanti; in un altro atto notarile, del 1549, si legge che “messer Calcedando de Alcanata” comprava “illam clausuram ulivis arborata de lo Columbo seu Dragonara”: vale a dire una zona recintata (probabilmente con i tipici muretti a secco) su cui sorgevano olivi. Da questa data in avanti innumerevoli sono i documenti che attestano la presenza di alberi di ulivo nella zona. D’altro canto, fino alla seconda metà del secolo XVIII, solo poche erano le piante innestate e quindi fruttifere. Non si trattava dunque, nella maggior parte dei casi, di vera e propria coltivazione.
Di uliveti come cultura specializzata si può legittimamente parlare, invece, solo alla fine del Settecento, allorché un decreto del 1778 abolì i divieti di dissodamento della boscaglia. Questo passaggio fondamentale permise di liberare nuovi spazi all’agricoltura, parzialmente a discapito della pastorizia. In un primo momento, a giovarsi della novità fu la coltura della vite, che, come abbiamo detto nella puntata precedente, è più redditizia nel breve periodo, giungendo a fruttificare già dal quarto anno di vita. Ai vigneti vennero però sempre più spesso associate delle pianticelle di olivo, distribuite sui terreni in filari regolari. Questi alberi erano destinati a sostituire le vigne al momento del naturale esaurimento della loro produttività, trenta o quarant’anni dopo la piantumazione. Le piante d’olivo iniziano la piena produttività intorno al decimo anno di vita, e dal cinquantesimo raggiungono la maturità: fra le due coltivazioni si attuava dunque una vantaggiosa staffetta.
Gli oliveti delle contrade Ponte e Piana che producono il nostro olio, furono impiantati in gran parte negli anni compresi tra il 1837 ed il 1858, in filari paralleli, distanti circa 9 metri l’uno dall’altro.
La cultura dell’ulivo nel territorio chiaramontano raggiunse 796 ettari nel 1853, e 1920 ettari alla fine dell’800. La produzione di olio diventava così una fonte non trascurabile di sussistenza per gli abitanti della cittadina; i registri della tassa sull’olio, introdotta nel 1638, consentono di documentare produzioni fortemente oscillanti che vanno dai 48 ai 720 quintali l’anno (con una eccezionale impennata di 1600 quintali nel 1850-51).
A questo incremento della coltura, però, non corrispondeva un approfondimento della cultura dell’olio, che lasciasse presagire i risultati che sarebbero arrivati nel volgere di un secolo. Ma di questo parleremo nella prossima puntata!
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